Crimini contro l'umanità

Crimini contro l’umanità, chi paga?

Una riflessione si impone alla luce della vicenda di Wilhelm Kusterer, il boia di Marzabotto, responsabile del massacro di quasi mille persone durante l’occupazione tedesca e già condannato all’ergastolo in via definitiva dalla giustizia italiana. Notizia di oggi: la magistratura tedesca ha archiviato la posizione di Kusterer, oggi novantaquattrenne, che, secondo i giudici di Stoccarda, sarebbe totalmente incapace, a causa dell’avanzata età, di partecipare efficacemente ad un processo penale ed esercitare adeguatamente il proprio diritto di difesa.

La richiesta di estradizione promossa dalla autorità italiane era già stata rigettata nel 2013 dai giudici tedeschi, i quali avevano ritenuta nulla la sentenza italiana in quanto non supportata, a loro dire, da adeguati riscontri probatori.

Gli interrogativi, anche alla luce dei toni grotteschi di questa vicenda, sorgono spontanei:

  • chi paga per i crimini contro l’umanità?
  • come fanno le vittime ad essere adeguatamente risarcite?
  • quali procedure potranno esperire?

La vicenda Kusterer è l’ultima della lunga serie dei processi del cosiddetto armadio della vergogna, mobile in legno realmente esistente negli scantinati del Tribunale Militare di Roma, dove per decenni vennero ammassati migliaia di fascicoli relativi a procedimenti contro militari tedeschi accusati di aver commesso massacri ed atrocità negli anni 1943 – 1945 durante l’occupazione nazista del territorio italiano.

I processi iniziarono subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma finirono presto per arenarsi, soprattutto per motivazioni politiche, legate alla necessità di coltivare buoni rapporti con la Germania nell’ambito dell’allora nascente Comunità Europea.

Solo nel 1994 i fascicoli furono scoperti e i processi, anche sull’onda dell’indignazione dell’opinione pubblica, ripresi e, laddove possibile, conclusi, spesso con condanne all’ergastolo.

Quali rimedi per le vittime?

Si tratta di rimedi efficaci? Al di là della carica simbolica, si direbbe di no, sia perché le sentenze sono arrivate quando gli imputati erano ultranovantenni, il che fa sì che le condanne, anche solo per motivi anagrafici, non siano eseguibili, se non in minima parte, sia perché i risarcimenti, data l’enorme gravità dei crimini, sono di tale portata da essere inaffrontabili per qualunque patrimonio di un singolo individuo e, quindi, destinati a restare, nei fatti, lettera morta.

Altro rimedio sono le riparazioni di guerra, vecchio istituto riesumato di recente nel corso della polemica greco-tedesca ai tempi di Grexit, circa un anno fa. I greci, di fronte alle richieste di manovre economiche da “lacrime e sangue” provenienti dall’UE, che essi identificavano con la Germania in virtù dell’indubbia posizione di preminenza di quel paese in ambito comunitario, rinfacciavano ai tedeschi di non aver nemmeno corrisposto le riparazioni di guerra per i crimini commessi durante l’occupazione dello Stato ellenico nella seconda guerra mondiale.

In realtà, la questione riguarda la politica e non il diritto. Le riparazioni di guerra consistono infatti in somme di denaro che possono essere concordate nell’ambito dei trattati di pace tra Stati sovrani. Si tratta dunque di materia afferente la politica e la diplomazia internazionale, non il diritto.

Chiamare in giudizio gli Stati responsabili

Vi sarebbe però una terza via, negli ultimi anni sempre più massicciamente praticata: chiamare in giudizio gli Stati responsabili. La giurisprudenza internazionale, da Norimberga in poi, ha stabilito il principio per cui, nel caso di crimini così manifestamente atroci, l’aver obbedito ad un ordine superiore non scrimina l’esecutore materiale. In pratica, si è affermata una catena di responsabilità che collega l’esecutore materiale, i suoi superiori diretti, fino ai livelli apicali dell’amministrazione statale e, dunque, si chiama in causa lo Stato stesso.

Questo principio rischia di confliggere con l’idea dell’immunità degli Stati, vecchia norma del diritto internazionale affermata per consuetudine come corollario della sovranità. Se lo Stato sovrano, secondo la definizione classica, è tale solo quando esercita un potere assoluto su un determinato territorio, nel momento in cui venisse chiamato a rispondere di ciò che fa davanti ad un’autorità terza, significherebbe che i poteri statali non sono né assoluti, né, per conseguenza, sovrani.

Il conflitto viene risolto, almeno in parte, dalla Convenzione di New York del 2 dicembre 2004, firmata nell’ambito delle Nazioni Unite, che si incentra proprio sulle limitazioni al principio dell’immunità degli Stati.

La Corte Internazionale di Giustizia

La convenzione, all’art. 12, prevede l’impossibilità per uno Stato di invocare l’immunità nell’ambito di procedimenti per riparazioni pecuniarie in caso di decesso o lesioni personali ed all’art. 27 assegna la giurisdizione a decidere su questioni riguardanti l’immunità degli Stati alla Corte Internazionale di Giustizia (d’ora in poi, solo CIG) .

Molti hanno provato a chiedere conto alla Germania dei crimini commessi in epoca nazista innanzi alla CIG, ma, sorprendentemente, la Corte ha sempre riconosciuto l’immunità allo Stato tedesco sul presupposto che la Convenzione non prevede deroghe all’immunità in caso di crimini contro l’umanità.

L’argomentazione ha dell’incredibile: lo Stato risponde di una singola morte in virtù dell’art. 12 ma non del massacro di migliaia di persone. Riecheggia il sinistro motto di Eichmann: “La morte di un uomo è una tragedia, la morte di milioni è una statistica”.

Si è allora tentato, almeno in Italia, di convenire in giudizio la Germania davanti a tribunali nazionali. Si è però posta una questione di illegittimità costituzionale in relazione all’obbligo, previsto all’art. 27 della Convenzione, di attenersi alle decisioni della CIG, non residuando alcun potere per i giudici dei singoli Stati. Se l’Italia, si è sostenuto, agli artt. 10 e 11 della propria Costituzione, dichiara di uniformarsi alle norme del diritto internazionale e, a tal fine, di limitare la propria sovranità, la violazione della Convenzione si risolve in una violazione della Costituzione.

La Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, investita della questione, ha però sentenziato in senso opposto. Con la sentenza n. 238/2014, la Corte Costituzionale ha stabilito che le decisioni della CIG, in simili casi, non sono affatto obbligatorie e che, dunque, il giudice italiano può decidere sulle questioni poste in tema di responsabilità di uno Stato estero in materia di crimini contro l’umanità.

Le motivazioni poggiano essenzialmente su due argomenti:

1) L’art. 117 Cost. stabilisce che lo Stato recepisce le convenzioni internazionali mediante legge ordinaria, il che significa che se un conflitto si pone tra trattato internazionale e Costituzione, prevale quest’ultima. Sarà dunque la legge di ratifica del trattato ad essere incostituzionale e, dunque, a soccombere. Si tratta della c.d. “teoria dei controlimiti”, in virtù della quale le norme di diritto internazionale contrarie a principi costituzionali possono e devono essere disattese.

2) Le limitazioni di sovranità di cui agli artt. 10 e 11 Cost. sono funzionali ad universalizzare i principi costituzionali, ovvero a far sì che i principi della nostra Costituzione travalichino i confini nazionali per diffondersi a livello mondiale. Se l’art. 2 Cost. “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, per citare il testo della norma, non possono avere cittadinanza all’interno dell’ordinamento italiano norme, come quelle della convenzione, che quei diritti, anziché tutelarli, li conculcano.

Si può, dunque, fare causa alla Germania davanti al giudice civile italiano?

Decisamente sì. E tuttavia sorge ora un altro problema perché la Convenzione, agli artt. 18 e 19, stabilisce che i beni di uno Stato sovrano siano aggredibili in virtù di decisioni giudiziarie di uno Stato estero solo con il consenso dello Stato convenuto in giudizio. È un po’ come dire che il furto potrà essere risarcito solo con il consenso del ladro! Mettetevi pure le mani nei capelli, se volete….

La questione non è stata ancora affrontata, ma è verosimile supporre che, nel momento in cui la Germania dovesse essere condannata a risarcire i danni da un giudice italiano, una nuova questione di costituzionalità si porrebbe, che si auspica che la Corte risolva applicando anche in quel frangente i principi affermati nella sentenza 238/2014.

C’è dunque da essere orgogliosi della nostra Corte Costituzionale, che ha dimostrato che, sul piano della tutela dei diritti umani, l’Italia può fregiarsi a pieno titolo di essere un paese all’avanguardia. Ma la strada è ancora lunga e, come si è visto, irta di ostacoli.

Se possiamo essere cautamente ottimisti, anche perché i nostri giudici hanno risolto una spinosissima questione di diritto internazionale che si trascinava da circa settant’anni, auguriamoci però che, per avere materialmente i soldi, le vittime di crimini contro l’umanità non debbano aspettare altre tre generazioni.

Di seguito, i link dei materiali giuridici citati nel testo: